“Solitario”. Giulio De Leo. Review

“…Là dove ieri si camminava,
non si cammina più, là dove non si passava, oggi si passa.

E’ dunque proprio la perpetua modificazione degli spazi di circolazione e di vegetazione che giustifica il termine di movimento; ed è il fatto di gestire questo movimento che giustifica il termine di giardino.” G. C.

A Potenza, presso il N.Av.E, “Solitario” di Giulio De Leo, coreografo e ballerino della Compagnia Menhir, inaugura la sesta edizione del Festival Città delle 100 Scale, feconda piattaforma di danza contemporanea e arti performative, ideata curata e diretta da Giuseppe Biscaglia e Francesco Scaringi.

Il grande edificio ipogeo N.Av.E aveva ospitato nei giorni precedenti alla performance, il Workshop “Brevi danze da giardino
” a cura di Giulio De Leo. Nella stiva di cemento, lo Spazio e il Corpo sono stati messi in crisi: il primo è divenuto oggetto di una trasmutazione da luogo meramente fisico a locus concettuale e immaginario mentre il secondo si è scomposto nelle sue infinite e possibili articolazioni.

La scelta del N.Av.E (Nuove Avventure Espressive), situato nella pancia del rione Cocuzzo/Serpentone, comunemente avvertito come marginale nella gerarchia urbana cittadina, è in linea con gli interventi di riqualificazione e le numerose iniziative culturali, in corso dal 2000, tesi a suturare le ferite inferte al tessuto urbanistico e sociale.

Produzione MENHIR presenta
SOLITARIO
di e con GIULIO DE LEO
Musiche di GEORG FRIEDRICH HÀNDEL
Durata 35 minuti

Se “Gesto, Tempo e Trasmutazione” sono le tematiche attorno a cui ruota la ricerca performativa del Festival Città delle 100 Scale, “Solitario” risponde alle stesse emergenze.

In una fito-scena1940016_753795471322700_2886092766118461691_n costituita da un denso boschetto artificioso di 5 fusti arborei sul fondo e uno più isolato, a sinistra, la coreografia segue lo scioglilingua ritmico della partitura musicale barocca di Georg Friedrich Händel.

L’artista nella sua frenetica danza, gioca con le cadute e le riprese del corpo, con i respiri e il fiato sfibrato, con le giunture che a volte legano e a volte separano le parti “in gioco”, offrendo allo spettatore una drammaturgia a cui abbandonarsi emotivamente.

In un allestimento ideale in cui, annullate le distanze performer/spettatore, si riesce a percepire il ritmo della respirazione alterato dallo sforzo fisico e ad avvertire la traspirazione della pelle, si celebra la più intima partecipazione della platea animale al racconto del corpo divenuto vegetale di Giulio De Leo. Ad ogni pausa della narrazione, il silenzio rafforza il legame germogliato in stiva mentre il vigore iniziale del gesto, naturale e mai autoreferenziale, va fiaccandosi e la danza del fanciullo finisce per placarsi.

L’azione scenica, sviluppando il topos del giardino, descrive la mutevolezza dell’estetica del paesaggio, portando con sé il 1779766_753795444656036_8013191608900658345_nseme della filosofia del “Giardino in Movimento” di Gilles Clément. In una sequenza circolare di “croissances, luttes, déplacements, échanges”, come nella definizione di Clément, De Leo asseconda la resistenza, prima, la forza poi, come anche i limiti e le debolezze del suo corpo, sviluppando magistralmente il concetto del «fare quanto più con, e quanto possibile meno contro le energie in gioco in un luogo determinato».

La performance “Solitario” è vigorosa e intensa, multiforme nella struttura e complessa nella divulgazione. Tuttavia, la natura stessa del gesto, articolato nella danza, forma ancestrale della comunicazione, è riconosciuta, assorbita e decodificata anche dallo spettatore meno avvezzo a questo tipo di linguaggio.Ci resta un senso di appagamento dello spirito e una riflessione sull’opportunità di rivolgere lo sguardo alla figura de le Jardinier, che nell’opera di Clément, condivisa dalla visione di De Leo, si prende cura del paesaggio incolto, rifiutato, en friche, e interviene a decidere, disporre e ristabilire l’equilibrio natura-spazio-corpo.

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